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Zipangu
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Regione: Piemonte


24 Messaggi

Inserito il - 07/11/2007 : 13:39:59  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di Zipangu Invia a Zipangu un Messaggio Privato  Rispondi Quotando
Tre giorni [1971]

THOMAS BERNHARD
Primo giorno

... le prime impressioni gi? all?iscrizione alla scuola media, alla prima classe...la strada mi ha condotto davanti a un macellaio e davanti alle porte aperte accetta, martello, coltello come in rassegna, ben ordinati, da una parte quelli insanguinati, dall?altra quelli lucenti e puliti, strumenti di macellazione... poi
il rumore dei cavalli che crollano improvvisamente a terra, questi ventri enormi che si aprono, rovinano, ossa, liquidi, sangue... poi, dopo il macellaio, un paio di gradini in su verso il cimitero, camera mortuaria, un sepolcro... me lo ricordo ancora, proprio il primo giorno di scuola, un ragazzino pallido nella camera mortuaria, il figlio di un casaro... e da l? col cuore in gola sul banco di
scuola... una giovane insegnante...
Mia nonna, che mi portava sempre con s? ? tranne quella mattina che sono andato da solo attraverso il cimitero ? al pomeriggio ? entrata con me nelle camere mortuarie, mi ha sollevato e mi ha detto: ?Guarda, c?? di nuovo una donna?. Un vero morto... E questo ha un certo significato per ogni persona, e da qui si possono trarre conclusioni su tutto...
L?infanzia sono sempre di nuovo dei brani musicali, e certo non un brano di classica. Per esempio nel 1944, a Traunstein, per andare a scuola dovevo percorrere una strada pi? lunga. I nonni abitavano fuori citt?, a circa quattro chilometri, e nel mezzo c?era della boscaglia, non so pi? che alberi. E ogni volta che passavo l? davanti, saltava fuori una donna e mi urlava: ?Tuo nonno,
te lo spedisco ben io a Dachau!?.
Nel 1945 un?altra storia, un altro brano musicale, forse una dodecafonia.
L?amico di mio fratello, che allora aveva sette anni, mentre io ne avevo quattordici, fu colpito da una granata e fu completamente dilaniato. Il posto si chiama Vachendorf. E io stavo andando in bicicletta con mio fratello alla sua sepoltura. Toccavo appena terra con i piedi, e mio fratello stava seduto davanti, sul manubrio. Per strada raccoglievamo fiori. Ma a met? strada, prima di arrivare al luogo della sepoltura, un giovane improvvisamente salta fuori dal
bosco, trascina gi? brutalmente mio fratello e me dalla bici, strappa i fiori e prende a calci la bicicletta, fino a distruggerla: prima i raggi delle ruote, poi fa a pezzi il manubrio, poi spezza i parafanghi, poi mi prende a schiaffi, poi spinge mio fratello nel ruscello. E mi ? parso, non ne sono affatto certo, che fosse
un polacco o un ceco... Era tutto cos? straordinario. E ci siamo seduti l? sulla riva del ruscello e abbiamo piagnucolato e poi siamo tornati indietro a piedi, certo della sepoltura non ne abbiamo pi? parlato, e arrivati a casa abbiamo raccontato questa storia cos? straordinaria. E di storie cos? ce n?? un?intera serie.
Due buone scuole naturalmente: l?essere soli, separati e isolati, da una parte, e poi dall?altra, l?esasperata sfiducia che proviene dall?essere solo, separato,isolato. E questo gi? da bambino...
Mia madre mi ha dato via. In Olanda, a Rotterdam, sono stato lasciato per un anno su un peschereccio, da una donna. Mia madre veniva a trovarmi ogni tre, quattro settimane. Non credo che allora le restasse molto tempo da dedicarmi.
Certo, dopo ? cambiato tutto. Avevo un anno quando siamo tornati a
Vienna, per? quella sfiducia ? durata anche dopo, quando sono arrivato da mio nonno, che mi ha amato veramente. Poi le passeggiate con lui, tutto questo pi? tardi ? nei libri, e questi personaggi, i personaggi maschili, sono sempre e solo il mio nonno materno... Ma sempre di nuovo accanto al nonno si ? soli. Si pu? crescere soltanto soli, si sar? sempre soli, la coscienza di non poter sfuggire a se stessi. Tutto il resto ? illusione, inganno. Non cambia nulla...
Al tempo degli studi, completamente solo. A scuola si ha un compagno di banco e si ? soli. Si parla con le persone, si ? soli. Si hanno punti di vista, estranei, propri, si ? sempre soli. E se si scrive un libro, o per come io scrivo i miei libri, si ? ancora pi? soli...
? impossibile spiegarlo, non si pu?. Dalla solitudine, dall?essere soli deriva soltanto un essere soli, un essere separati ancora pi? radicale. Alla fine si cambia scena a intervalli di tempo sempre pi? brevi. Citt? sempre pi? grandi, si crede che la piccola citt? non ci basti pi?: Vienna non basta pi?, anche Londra non basta pi?. Bisogna andare dall?altra parte del mondo, si cerca di andare di qua e di l?, lingue straniere: ? forse Bruxelles? ? forse Roma? E cos?
si viaggia ovunque, e si ? sempre e soltanto con se stessi e con il proprio orrendo lavoro. Si ritorna in patria, ci si trasferisce in un podere, si chiudono le porte, come me ? e spesso per interi giorni ? e si rimane segregati, e d?altra parte l?unica gioia e piacere sempre pi? grande ? proprio il lavoro. Sono le frasi, i vocaboli, che poi si compongono. In fondo ? come un gioco, li si mette gli uni sugli altri, ? un procedimento musicale. E quando si ? raggiunto un
certo livello, dopo che si sono costruiti quattro o cinque piani, si guarda il tutto e si distrugge tutto di nuovo come fanno i bambini. Ma mentre si crede di averla fatta fuori, sul corpo si forma subito da qualche parte una nuova piaga infetta, che ? poi il nuovo lavoro, il nuovo romanzo, e diventa sempre pi? grande. In fondo un libro non ? forse nient?altro che una piaga maligna,una cancrena? La si estirpa chirurgicamente e, naturalmente, si sa con assoluta certezza che le metastasi hanno gi? invaso e contaminato l?intero corpo e che una salvezza non ? pi? possibile. E questa piaga naturalmente diventa
sempre pi? aggressiva e pi? forte, e non c?? pi? nessuna salvezza e nessun ritorno.
I miei, i miei antenati, erano persone meravigliose. E non ? casuale il fatto che mi tornino in mente qui, su una panchina gelata. Quello che ? successo ? tutto qui: pieni di soldi, veramente poveri, delinquenti, orrendi, quasi tutti in un qualche modo perversi e felici, hanno viaggiato di qua e di l?... I pi? a un certo momento si sono improvvisamente suicidati, e in particolare proprio quelli di cui non si sarebbe mai creduto che avessero anche soltanto potuto
pensare di concludere semplicemente la loro vita ? o ci? che chiamiamo cos? - con un colpo o con un salto. Uno ? saltato in un lucernaio, un altro si ? sparato una pallottola in testa, il terzo semplicemente ? entrato con l?auto nel fiume... E pensare a questa gente ? tanto raccapricciante quanto piacevole. ? la situazione di quando si ? seduti a teatro, e il sipario si alza, e subito la gente
che vediamo l? sopra, sul palcoscenico, si separa in buoni e cattivi, e non solo in buoni e cattivi caratteri, o in buoni e cattivi uomini e persone, ma in buoni e cattivi attori. E devo dire che ? un vero piacere di tanto in tanto assistere di nuovo a questa rappresentazione.

Secondo giorno
La difficolt? ? cominciare. Per lo stupido non ? una difficolt?, lui non sa proprio che cosa siano le difficolt?. Fa figli o fa libri, fa un figlio, un libro ? fa figli e libri senza sosta. Per lui ? uguale, non ci pensa su. Lo stupido non conosce difficolt?, si alza, si lava, scende in strada, gli passano sopra, ? una pappamolla, per lui ? uguale. Fin dall?inizio ci sono forti contrasti, probabilmente ci
sono sempre stati. Contrasti, che cos?? un contrasto? Ci? che contrasta ? qualcosa di materiale. Il cervello ha bisogno di contrasti. Nella misura in cui esso accumula i contrasti ha del materiale: contrasto? Contrasti. Contrasto quando si guarda fuori dalla finestra, contrasto quando si deve scrivere una lettera e
proprio non si vuole, si riceve una lettera, di nuovo un contrasto. Si getta via tutto, e tuttavia qualcuno prima o poi risponde. Si cammina per strada, si compra qualcosa, si beve una birra, tutto ? faticoso, tutto contrasta. Ci si ammala, si finisce in un ospedale, diventa difficoltoso ? di nuovo un contrasto.
Improvvisamente si manifestano malattie mortali, scompaiono di nuovo,
ci rimangono appiccicate: contrasti, naturalmente. Si leggono libri: contrasti.
Non si vuole nessun libro, nessun pensiero, n? linguaggio, n? parole e neppure frasi, non si vuole storia: non si vuole per lo pi? nulla. Tuttavia ci si addormenta e ci si sveglia. La conseguenza dell?addormentarsi ? lo svegliarsi, la conseguenza dello svegliarsi ? l?alzarsi. Si deve fare fronte a tutto ci? che contrasta.
Si deve uscire dalla stanza, compare la carta, compaiono le frasi, in realt? sempre di nuovo le stesse frasi... e non si sa da dove... Uniformit?, no? Da qui nascono nuovi contrasti, mentre ci occupiamo di tutto questo. In realt? non si vuole nulla se non addormentarsi, e non saperne pi? nulla. Poi improvvisamente di nuovo il desiderio...
Perch? oscurit?? Perch? nei miei libri una sempre uguale e totale oscurit?? Si fa presto a spiegarlo.
Nei miei libri tutto ? artificio, cio? tutti i personaggi, gli eventi, gli accadimenti sono rappresentati su un palcoscenico e lo spazio della scena ? totalmente buio. Personaggi che entrano in uno spazio scenico, in un quadrato scenico, e i loro contorni sono pi? riconoscibili rispetto a quando appaiono alla luce naturale, come succede nella restante prosa che conosciamo.
Nell?oscurit? tutto diventa pi? chiaro. E ci? non vale solo per le apparizioni, per le immagini, ma ? cos? anche per il linguaggio. Ci si deve rappresentare le pagine dei libri come completamente buie. La parola riluce e in questo modo ottiene la sua chiarezza o iperchiarezza. ? un espediente artificioso che ho usato sin dall?inizio. E quando si apre un mio lavoro accade questo: ci si deve figurare di essere a teatro, con la prima pagina si alza un sipario, appare il titolo, oscurit? totale ? lentamente, dallo sfondo, dall?oscurit?, emergono parole che, lentamente, si trasformano in accadimenti di natura esteriore e interiore, particolarmente
chiari proprio grazie alla loro artificiosit?.
Non so come la gente si rappresenti uno scrittore, ma ogni idea a tale proposito ? sicuramente falsa... Per quel che mi riguarda, io non sono uno scrittore, sono uno che scrive... D?altra parte si ricevono lettere dalla Germania o da un qualsiasi posto, da citt? di provincia, da quelle pi? grandi, o dalle emittenti televisive o da certe organizzazioni di eventi... Si entra in scena, si viene presentati come un poeta tragico, oscuro, e si arriva al punto che anche nelle laudatio, in quei lavori cos? falsamente scientifici, si viene presentati in questo modo.
Poi si dice che l?autore, lo scrittore, deve essere catalogato in un determinato modo, e inoltre che i libri sono oscuri, i personaggi sono oscuri e il paesaggio ? oscuro, e dunque ? anche l?uomo ? oscuro, l?uomo che ora siede davanti a noi. In una simile laudatio non resta veramente nulla se non una massa oscura in abito scuro... S?, certo sono considerato un cosiddetto scrittore serio, come B?la Bart?k ? considerato un compositore serio, e la fama si sta diffondendo...
In fondo non ? per niente una bella fama... Mi mette assolutamente a
disagio. D?altra parte non sono certo neanche uno scrittore allegro, non sono un narratore di storie, io odio profondamente le storie. Sono un distruttore di storie, io sono il tipico distruttore di storie. Nel mio lavoro, quando qua e l? si formano i primi segni di una storia, o quando in lontananza vedo spuntare da dietro una collina di prosa l?accenno a una storia, gli sparo addosso. Lo stesso
mi accade con le frasi, avrei voglia di far fuori intere frasi che potrebbero eventualmente formarsi, prima ancora che si formino. D?altra parte...
La cosa che preferisco ? stare solo.
In fondo ? una condizione ideale.
La mia casa poi ? veramente un enorme carcere.
Mi piace molto: pareti il pi? spoglie possibile. ? spoglia e fredda. Il che ha un buon influsso sul mio lavoro. I libri, o quello che scrivo, sono come quello in cui dimoro.
A volte mi sembra che i singoli capitoli di un libro siano come le singole stanze di questa casa. Le pareti vivono, no? Cos? le pagine sono come le pareti, e questo basta. Bisogna solo guardarle intensamente. Quando si guarda una parete bianca, ci si pu? accertare che non ? bianca, non ? spoglia. Quando si ? soli, e da tempo ci si ? abituati a essere soli, ci si ? educati a essere soli, si scoprono
ovunque sempre pi? cose l? dove per gli uomini normali non c?? nulla.
Sulla parete si scoprono crepe, piccole fessure, irregolarit?, insetti. C?? un movimento inaudito sulle pareti. Difatti parete e pagina del libro sono del tutto identiche.
Visto da quelli che stanno fuori il mio modo di vivere ? monotono. Tutti quelli che mi stanno intorno vivono una vita molto pi? eccitante o, se non pi? eccitante, almeno pi? interessante...
Per me interessante ? la vita dei miei vicini, che seguono mestieri artigiani molto semplici ? il mio vicino ? un contadino, di fronte, un po? discosto, abita un operaio della cartiera, proprio l? accanto un carpentiere, nei dintorni, un po? pi? lontano, solo operai della cartiera, artigiani, contadini, questo ? per me interessante... un?occupazione che, come mi succede, bench? sia svolta centomila
volte sempre nello stesso modo, va avanti ed ? sempre diversa... La mia stessa vita, la mia stessa occupazione, la mia stessa giornata mi sembrano monotone, noiose, senza contenuto...
La cosa pi? terribile per me ? scrivere della prosa... In assoluto la cosa pi? difficile...
E dall?istante in cui l?ho notato e ne sono diventato consapevole, mi
sono ripromesso di scrivere ancora e soltanto della prosa. Certo avrei potuto fare qualcosa di completamente diverso. Ho imparato molte altre discipline, ma nessuna cos? terribile. Molto presto cio? ho seguito lezioni di disegno, e sarei diventato probabilmente un disegnatore accettabile, ci sarei riuscito molto facilmente e con piacere. Ho studiato musica e sarei riuscito molto facilmente e con piacere a suonare strumenti, a fare musica, cio? a comporre. C?? stato un periodo in cui ho pensato che sarei diventato per forza un direttore d?orchestra. Ho studiato estetica musicale e uno strumento dopo l?altro, ma siccome mi sarebbe riuscito sin troppo facilmente e con troppo piacere, ho rinunciato a tutto. Poi sarei potuto diventare attore, o regista, o drammaturgo.
C?? stato un periodo in cui ne sono stato molto affascinato. Era molto
emozionante, ho recitato molto, soprattutto ruoli comici, ho fatto della regia...
Sono anche andato a una scuola per il commercio e allo stesso modo c?? stato un periodo in cui mi sono detto s?, certo, potrei diventare anche un commerciante, e mi ha eccitato l?idea di crescere in quel senso...
E ben presto, circa fino ai diciassette, diciotto anni, non ho odiato nulla cos? tanto quanto i libri... Ho vissuto da mio nonno, che scriveva, e l? c?era un?enorme biblioteca, e stare sempre assieme a quei libri, dover passare attraverso quella biblioteca, ogni giorno, per me era semplicemente raccapricciante...
E probabilmente... ma perch? ho finito proprio per scrivere, perch? scrivo dei libri? Per un?improvvisa opposizione contro me stesso, e contro questa condizione ? poich? i contrasti, come ho gi? detto una volta, per me significano tutto... Volevo proprio questo mostruoso contrasto, e perci? scrivo della prosa...
Forse dipende dal fatto che quando avevo diciotto anni sono finito in ospedale per un anno intero, vi sono stato relegato, e l? ho ricevuto, credo che ancora oggi la si chiami cos?, l?estrema unzione. Poi sono rimasto per mesi in un sanatorio in alta montagna. Davanti a me c?era sempre la stessa montagna.
C?era una branda con delle lenzuola grigie, con una rozza coperta di lana, e venivo messo all?aperto in autunno e in inverno, di giorno e di notte. E l? a causa della noia totale mi sono dato allo scrivere, perch? semplicemente non si pu? stare ininterrottamente di fronte a una montagna senza fare nulla, perch? certo non mi potevo muovere... Questa probabilmente ? stata l?occasione e l?origine. E in questa noia e stando da soli con la montagna, che si chiama Heukareck e si eleva su Schwarzach St. Veit, un duemila metri..., quando per mesi e mesi la si guarda, sempre uguale... la montagna non cambia perch? si
trova nella zona d?ombra, allora si diventa pazzi oppure si comincia a scrivere...
E allora ho semplicemente preso carta e matita, ho preso appunti e ho
superato l?odio contro i libri e lo scrivere, contro la matita e la penna, attraverso lo scrivere e questa ? certo l?origine di ogni male con cui adesso devo lottare...
In fondo non desidero altro che essere lasciato in pace. ? una grossa pretesa, e con il tempo non mi interessano pi? nemmeno i cambiamenti esterni. Sono sempre gli stessi. Che se ne occupino gli altri. Mi interessano solo le mie cose, e posso essere molto spietato. E quando sono nel mio podere o in una qualche citt? ? che sia a Bruxelles, o a Vienna o a Salisburgo, non importa dove ? mi ? completamente indifferente se tutto intorno a me crolla o diventa ancora pi? ridicolo, se tutto intorno a me esiste oppure no... Per me tutto questo non ha per lo pi? nessun senso e non mi porta avanti, piuttosto mi porta a me stesso... E su questo...

Terzo giorno
Gi?, occuparsi di filosofia, di ci? che ? scritto, ? la cosa pi? pericolosa... in particolare per me... Spesso ci giro attorno per ore, per giorni, per settimane...
Non voglio avere nessun contatto, non voglio nulla di tutto questo.
D?altra parte accade che sono proprio gli autori per me pi? importanti i miei pi? grandi antagonisti o nemici. ? un continuo difendersi proprio da quelli da cui si ? stati completamente sedotti. E io sono stato sedotto da Musil, Pavese, Ezra Pound, non si tratta di lirica, ma di prosa assoluta.
Si tratta semplicemente di frasi, di un paesaggio che emerge da un paio di parole nel diario di Pavese, uno schizzo di Lermontov, naturalmente Dostoevskij, Turgenjev, in fondo tutti i russi... I francesi, tranne Val?ry, per lo pi? non mi hanno interessato... Monsieur Teste di Val?ry ? uno di quei libri che ho usurato a suon di leggerlo, e me lo devo sempre ricomprare, perch? ? sempre nuovamente rovinato, consumato, a brandelli... Henry James, un costante attuare strategie di difesa. ? un?ostilit? esasperata... che oscilla sempre... Il pi? delle volte ci si sente ridicoli di fronte a questa gente, poi per? non si ? pi? in grado di lavorare... Ma a volte si acquista un po? di potere, anche su quelli veramente grandi... e si ? in grado di schiacciarli... Ci si pu? elevare su Virginia Woolf o su Forster, e allora io devo scrivere. E il confrontarsi ? per lo pi? l?arte che uno deve tentare di padroneggiare. ? l?unica scuola che abbia un senso, che promuove e fa crescere. Non pu? esserci nulla di totale, bisogna farlo a pezzi.
Qualcosa di riuscito, di bello, diventa sempre pi? sospetto. Si deve essere capaci di interrompere un percorso, eventualmente anche in un punto inaspettato...
Cos? ? falso anche scrivere un cosiddetto capitolo di un libro fino alla fine. E cos? ? falso per lo pi? scrivere un libro fino alla fine. E l?errore pi? grande ? quando un autore scrive un libro fino alla fine. E avendo a che fare con le persone una buona norma ? anche quella di interrompere all?improvviso un rapporto.
La malinconia ? una condizione molto bella. Io cado in questo stato con facilit? e molto volentieri. Di meno e quasi mai in campagna, dove lavoro, ma subito in citt?... Per me non c?? un luogo pi? bello di Vienna e la malinconia che mi prende in citt?, e che ho sempre avuto... Sono le persone, le persone che l? conosco da vent?anni, sono loro la malinconia... Sono le strade di Vienna. ? l?atmosfera di questa citt?, la citt? degli studi, naturalmente. Sono le frasi sempre uguali che le persone l? mi rivolgono, probabilmente le stesse che io rivolgo a queste persone: una meravigliosa occasione per la malinconia. Ci si siede da qualche parte in un parco, per ore, in un caff?, per ore ? malinconia.
Sono i giovani scrittori di un tempo che non sono pi? giovani.
Improvvisamente ci si accorge che costui non ? pi? un giovane, si atteggia da giovane, probabilmente come io mi atteggio da giovane, ma non sono pi? un giovane. E ci? si acuisce con il tempo, ma ? una bella cosa.
Vado molto volentieri nei cimiteri di Vienna e, per rimanere vicino, al cimitero di D?bling o al cimitero di Neustift am Walde, e mi rallegro delle iscrizioni, dei nomi che conosco gi? da prima. Malinconia, quando si entra in un negozio e la stessa commessa che vent?anni fa faceva dei movimenti cos? incredibilmente rapidi, ora ? molto lenta. Versa lentamente lo zucchero nel sacchetto.
? tutto un altro movimento quello con cui prende i soldi e spinge in avanti il cassetto del registratore di cassa...
? lo stesso campanello alla porta, ma ? malinconia. E questa condizione pu? durare intere settimane. E penso che la malinconia forse ? il rimedio ideale o il solo rimedio utile, per me ? una sorta di continua assunzione di malinconia in pastiglie...
? sempre il colloquio con mio fratello, colloquio che non c??, ? il colloquio con mia madre, che non c??. ? il colloquio con mio padre, che anche non c??.
? il colloquio con il passato, colloquio che non c??, e passato che non c?? pi?, e che non ci sar? mai. ? il colloquio con le grandi frasi, che non ci sono. ? il dialogo con la natura che non c??, e l?occuparsi dei concetti, che non sono concetti, che non possono essere concetti. L?occuparsi dell?assenza di concetti, della meraviglia dei concetti. ? occuparsi di un materiale che ? infinitamente incompiuto. Il colloquio con una materia che non risponde. ? l?afonia assoluta che rovina tutto, la disperazione assoluta da cui nessuno riesce pi? a uscire.
? il di fronte immaginario, che ci si ? inventati, per potersi solo ancora illudere.
? il tentativo di toccare con mano gli oggetti, che scompaiono nel momento stesso in cui si crede di averli toccati. ? l?occuparsi di fatti, che mostrano di essere degli errori. ? il tentativo di superare un tempo che non ? mai stato presente.
? sempre la stessa immaginazione all?opera in una rappresentazione che
per natura dovr? esperirsi come falsa. ? l?identificazione con le cose che sono nate dalle frasi, e non si sa niente n? delle cose n? delle frasi, e di nuovo non si sa per lo pi? niente. Questo ? proprio il pi? quotidiano, da cui bisogna prendere distanza. Ci si dovrebbe tirare fuori da tutto, non solo chiudere la porta dietro di s?, ma si dovrebbe sbatterla e andarsene via. E tutto dovrebbe sempre pi? scomparire da solo, in silenzio, in un qualche modo. Da una oscurit?
che non ? possibile padroneggiare neanche nell?arco di una vita intera, e che infine ? diventata totalmente impossibile da padroneggiare, si dovrebbe entrare nell?altra, nella seconda, nell?oscurit? finale per cos? dire, e si potrebbe semplicemente
raggiungerla senza indugi e al pi? presto, senza raffinatezze filosofiche, semplicemente entrarvi... e possibilmente anticipare l?oscurit? chiudendo gli occhi e riaprendoli di nuovo solo quando si ha la certezza di essere nell?oscurit? assoluta, in quella finale.

Appunti
Nell?estate del 1970, dopo aver cercato per giorni interi uno scenario adatto, fino a che la cosa divenne molto grottesca, mi ero seduto finalmente senza pi? porre condizioni su una panchina dipinta di bianco in un parco alla periferia di Amburgo, per poter dire al regista Ferry Radax, come d?accordo, una serie di frasi che mi riguardano e dunque per formulare delle espressioni che, mentre
le dicevo e le formulavo in uno stato di estrema irritazione, corrispondendo queste alla natura di una tale condizione, sono apparse pi? o meno casuali e sconnesse, come del resto anche oggi mi sembrano pi? o meno casuali e sconnesse, dopo avere visto il film e dopo avere sentito le affermazioni che ho fatto nel film. Sulla panchina (e dunque nel film) ho detto molte cose cos? e in nessun altro modo, anche se avrei potuto dirle in un modo completamente diverso da quello che qui viene reso pubblico con il titolo "Tre giorni". La circostanza per? per cui viene fatto un film in cui la mia persona ininterrottamente per cinquantacinque minuti siede su una panchina dipinta di bianco in un parco alla periferia di Amburgo, per nessun altro scopo se non quello di dire (o di non dire) per tutto il tempo quello che di momento in momento le passa per la testa, senza preoccuparsi (e dovendosene preoccupare) del perch? dice quello che dice e non del come dice quello che dice, e il fatto che il film
che ne viene fatto debba infine venire accettato, mi ha portato immediatamente all?idea di scrivere, per il sorprendente regista e per il suo sorprendente modo di lavorare (come ho potuto osservare durante i tre giorni ad Amburgo), un film pi? lungo, e cio? almeno di un?ora e mezza, che corrispondesse a questo modo di lavorare. Questo, e il piacere di partecipare a un tale lavoro-esperimento in fieri, sono stati l?occasione specifica per scrivere un copione approssimativamente preciso per un film, copione tratto da un frammento che avevo gi? dimenticato e che era effettivamente incompiuto: "L?italiano". Il copione ? molto distante da quel frammento, ma in fondo per? vi rimanda continuamente, come avevo intenzione che fosse. Il film Radax l?ha realizzato, senza di me, nel giro di qualche settimana nell?inverno del 1971.

Thomas Bernhard

"I have nothing to say and I am saying it and that is poetry"(John Cage)
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